Ho già pronto la prima vera lettera da pubblicare ma per qualche ragione il mio cervello si rifiuta di partire senza una dichiarazione di intenti. Alcune direbbero che a volte siamo le peggiori nemiche di noi stesse, altre che sono proprio autistico. A voi la scelta, a me vanno bene entrambe. Fatto sta che se non mi accontento, rimango fisso su quel pensiero e mi blocco. Ancora.
Ho aperto questo spazio più di un anno fa e sono rimasto impantanato con il primo passo. Mentre mi preoccupavo di scrivere l’inizio perfetto, di trovare le parole giuste, il tempo è passato e io non sono mai partito. Trentadue tentativi dopo, sono ancora qua. Li ho contati.
La verità è che non esistono parole giuste. Solo parole nuove. E quest’attesa non ha fatto che alimentare una delle più grandi preoccupazioni che pesano sull’animo umano: la convinzione di essere un buono a nulla.
Quella paura oggi non è svanita. Ma sono disposto a concedermi un attimo di gentilezza. Io che mi guardo troppo spesso con gli occhi malinconici e pretenziosi di prima. Che distolgono lo sguardo da un presente che brucia come guardare dritto nel sole.
Non sono quello che mi ero immaginato a trent’anni appena compiuti, quando è cambiato tutto. Ero convinto di conquistare il mondo, pronto a raccogliere i frutti del mio duro lavoro. Proiettavo in avanti tutta la felicità che mi avanzava.
Qualche settimana fa, ho letto il bellissimo ricordo di N.
N è morta e le parole che la mia amica Elena ha usato per descriverla mi hanno colpito come uno schiaffo.
Era una persona piena di vita, ma nel suo caso non è un modo di dire. Traboccava di vita. Scoppiava di vita. A 35 anni aveva fatto più cose di quelle che la maggior parte delle persone non fa in cent’anni, e ne era perfettamente consapevole.
Trentacinque anni come quelli che io ho oggi, in cui l’impressione è di non aver combinato nulla. Ho provato invidia per le parole ideali con cui forse chiunque vorrebbe essere ricordato, dicendomi che per me non vale lo stesso. Non più.
Non è sempre stato così. C’è stato un tempo in cui avrei usato parole simili. Mi sentivo realizzato, avevo tutto quello che pensavo mi servisse: un lavoro che amavo, che mi permetteva di esprimere le mie potenzialità e una dolcissima autonomia. Vivevo le mie passioni in modo pieno e autentico, dedicavo loro tutto il mio tempo senza riserve. Avevo amicizie e legami preziosi con cui condividevo i miei interessi. Ero innamorato e felice, avevo tutto.
Non mi preoccupavo di essere in controllo della mia vita, perché la felicità mi guidava, con tutta la sua spontaneità. Seguivo con fiducia il sentiero che si delineava sotto i miei passi. Se fossi morto allora, come N, anche io sarei stato ricordato come traboccante di energia vitale.
Nella mia storia ci sono un prima e un dopo, segnati da un incidente che ha deviato il percorso che stavo seguendo. La mia disabilità mi ha sbalzato su un nuovo sentiero, che oggi non si forma più al mio passaggio, ma che sembra già segnato, impraticabile, pieno di ostacoli. Il ritmo serrato del mio procedere sicuro e spensierato, si è fermato.
Clausura nasce da qui: dalla voglia di tornare a guardarmi con gli occhi della potenzialità. Nasce per darmi l’occasione di immaginare un’alternativa possibile. Nella speranza di poter dire ancora di me di essere una persona piena di vita.
È il diario di bordo di un turbolento viaggio interiore. Una mappa in divenire della mia spedizione, da un presente in cui non mi riconosco verso un futuro che non riesco a immaginare.
È un angolo di sperimentazione, senza pretese né ambizioni, in cui cerco di riappropriarmi della spensieratezza perduta. E soprattutto, dove mi prendo tutto lo spazio che mi serve.
Me lo immagino un contenitore di:
pensieri scomodi di un corpo rotto che ha bisogno di aiuto
lettere al mio bambino ferito e alla mia versione migliore
approfondimenti su disabilità, vita indipendente, diritti, abilismo
appunti su dati, pensiero sistemico e impatto sociale
riflessioni sulla vita, la morte e quello che ci passa in mezzo
progetti per cambiare il mondo, insieme
Mi immagino di scrivere alle persone a cui voglio bene. A chi c’è stato, c’è ancora, e avrà voglia di unirsi lungo questo viaggio.
Mentre cerco di capire come voglio essere ricordato, se vi va, accomodatevi a bordo. Che a mettervi scomode, ci penso io.
Non vi deluderò.
Finalmente. Che bello leggerti, è sempre un tornare a casa, per me. Ma anche imparare a conoscere un po' di più la persona meravigliosamente piena di vita e di idee che sei. Perché sai, le persone non sempre ti vedono come tu ti vedi. Lo sto scoprendo anch'io, con il mio diario pubblico - la gente che ha fatto parte della mia vita arriva e ogni tanto corregge i miei ricordi. Benvenuto anche qui, Simone, non vedo l'ora di leggerti. 💜